testata camel

Imparare la vela a Caprera è una di quelle cose che ha cambiato la mia vita. Un po’ dev’essere stata la Sardegna: prima andavo al mare in Liguria a Cavi di Lavagna e tutto si riduceva a sabbia e acqua. Perfino le conchiglie erano rari piccoli pezzetti che io e mia sorella custodivamo come tesori insieme ai vetrini levigati. Il mare era sempre mosso e freddo, scostante. Come se non fosse vivo, non so: ho un ricordo grigio e tignoso.

Il mio moroso mi aveva iscritta alla scuola di Caprera di prepotenza: non ci volevo andare, ero terrorizzata, sentivo dire che era peggio che a militare, che i caprerini facevano scherzi crudeli, gavettoni e altre brutalità e poi si doveva fare una prova di nuoto e io sapevo appena stare a galla. No, a Caprera proprio non ci volevo andare. Per questo mi aveva portata là un paio di giorni prima, lo stronzo forse lo sapeva che mi sarei innamorata.
Avevamo preso il pulman che dalla Maddalena porta a Cala Spalmatore e per la prima volta in vita mia ho visto il fondo con la maschera. L’acqua era calda e calma, c’erano dei pesci vivi dentro e si lasciavano avvicinare, i colori arrivavano dappertutto, la trasparenza faceva venire il capogiro, le calette minuscole sembravano abbracci, tutte cose che nemmeno nei documentari alla televisione avevo mai visto, non pensavo neanche che esistessero. Mi sembrava di essere sbarcata da Marte: mi stupivo di tutto come se avessi passato la vita fino a quel momento sull’astronave tra plastica e acciaio. Sì, lo sapeva, si vede che mi conosceva già abbastanza.

L’anno dopo ci sono andata da sola: lui era militare, mi avrebbe raggiunta nella seconda settimana che di più non poteva. Era un corso di perfezionamento, di giorno si andava in giro per l’arcipelago e alla sera si dormiva in grandi tende bianche, in ogni tenda quattro letti a castello. Usavamo i figarò, che sono poco più che turaccioli di legno rosso caprerino, ci stavamo in tre e a prua c’era una cabina minuscola e sempre bagnata, ci mettevamo la cassetta con il pranzo al sacco e non ci entrava altro. Facevamo le prove di ancoraggio a vela in qualche caletta deserta e si sentivano i nostri comandi tuonare: Fondo! Agguanta! Fila! ma non gridavamo: era il silenzio. Poi Giovanni ci traghettava sulla spiaggia con il gozzo: ci stava dietro per farci sicurezza e non avrebbe dovuto, ma era gentile anche se noi lo chiamavamo Garibaldi per la barba bianca e le rughe e la faccia cotta; un po’ gli spiaceva perché non era così vecchio come ci sembrava ma faceva finta di niente, stava quasi sempre zitto come fanno spesso i sardi e rideva poco o mai.

Alla sera si cenava tutti insieme in una grande stanza senza pareti, aveva solo il tetto e i tavoli lunghi con le panche, quello che si vedeva al tramonto non lo dico, ogni volta era diverso, era come un film.
Ma la cosa più stupefacente erano i lavandini: immaginati una caletta lunga quanto cinque lavandini messi in riga, sopra ogni lavandino uno specchio che rifletteva la baia e il cielo e a guardarci dentro dava le vertigini che tutto sembrava più nitido nello specchio che fuori. Lo scarico andava diretto nel mare, ce l’avevi sotto i piedi, nemmeno un tubo, solo un canalino lungo due metri sì e no che si scavava da solo nella sabbia al passaggio dell’acqua. Era razionata a quell’epoca, non c’erano tubature dalla terra ferma o acquedotto, veniva portata con un camion cisterna e quando era finita peggio per noi, si doveva fare senza fino al prossimo rifornimento. Per i cessi si usava quella di mare, coi secchi. Adesso non è più così, adesso è tutto a norma ma trent’anni fa quando ti lavavi le mani potevi seguire con lo sguardo la nuvola bianca del tuo sapone dentro nel mare e vedere i pesciolini grigi che venivano a leccarla a frotte, avevano un muso lungo come un becco, la bocca stretta e gli occhi sporgenti. Se volevi potevi farti la barba con i piedi nell’acqua e poi attirarli con i lanci della schiuma: non avevano nessuna paura, c’eravamo solo noi lì e non gli facevamo niente.

Quelle cale adesso non sono più deserte, sono diventate porticcioli, villaggi turistici, condomini vista mare, ci hanno messo lunghi moli di cemento, hanno costruito alberghi e bar con terrazza panoramica. Quando ci sono tornata con la mia barca non riconoscevo più niente, niente era più come prima, mi sembrava di essere di nuovo scesa da un’astronave. Non vola nemmeno più una zanzara, che col levante arrivavano come nuvole nere dagli stagni e non c’erano zampironi o autan che potessero difenderci e mi dovevo chiudere nel sacco a pelo, tenerlo sopra la testa con le mani e alla mattina avevo decine di punture sulle dita che avevo lasciato fuori. Non ci sono più stagni adesso e di notte passano con gli aerei a buttare giù il veleno.



Commenti al Post: Mangiasapone


quelluomo il 19/07/07 alle 10:47 via WEB
ma c'avete tutti la barca? beati voi...

LaDonnaCamel il 19/07/07 alle 11:56 via WEB
davvero, siamo proprio beati...

sonouncantastorie il 19/07/07 alle 11:14 via WEB
"Il mio moroso"... E' da un sacco di tempo che non sentivo chiamare così un amante, un innamorato, ecc.

LaDonnaCamel il 19/07/07 alle 11:57 via WEB
è perchè è una vita che non vieni giù al nord :)

sonouncantastorie il 19/07/07 alle 12:15 via WEB
Ma quanto è vero che è vero :) Saranno 3 anni, se non 4.

quelluomo il 20/07/07 alle 10:55 via WEB
io non ho manco la macchina..a meno che una porsche 911 carrera 4 sia da considerarsi tale!

quelluomo il 20/07/07 alle 10:56 via WEB
in scala 1:18!


Eric_Van_Cram

Eric_Van_Cram il 20/07/07 alle 11:01 via WEB
E che c'azzecca la pesca con tutto ciò? E il papà? :)

LaDonnaCamel il 20/07/07 alle 11:57 via WEB
I pesci ci sono e il papà anche: fidati ;-)

 

 

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