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Anita giocava col meccano. Non era suo, l'avevano regalato a Luciano ma lui era ancora troppo piccolo, si stufava subito. A lei piaceva. Le vitine d'oro e i dadi quadrati soprattutto. C'erano delle piastre colorate, amaranto o verde scuro con i buchi rettangolari, c'erano le barrette d'argento con i buchi rotondi, c'erano dei pezzi piccoli ad angolo e soprattutto c'erano le ruote. Con le ruote si potevano fare le carrucole, c'era anche una manovella per farle girare.


Le piaceva perché quello che veniva fuori mettendo insieme i pezzi sembrava proprio vero. Non sembrava un giocattolo il meccano, sembrava una cosa vera perché era di ferro e non di plastica. Il cacciavite che davano in dotazione non sembrava molto vero, aveva il manico come un tubo piegato a triangolo, ma Mino ne aveva portati due veri dall'officina, col manico verde trasparente.
Mino aveva fatto fare dal suo falegname una cassetta di legno con gli scomparti della misura giusta. Quando avevano finito di giocare rimettevano dentro i pezzi, anche se a lei un po' dispiaceva smontare quello che avevano costruito. Facevano gru che stavano in piedi da sole sostenute da tralicci, nel cestello si potevano mettere piccoli oggetti come una caramella, un rocchetto di filo. Si girava la manovella e si faceva salire e scendere come si voleva.
Facevano macchinine spigolose come quelle di Stanlio e Ollio o camion, una volta un omino che sembrava un robot.

 

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Il meccano era un gioco che Mino aveva avuto quando era piccolo e si vede che l'aveva amato molto perché ci giocava volentieri anche da grande. Luciano non tanto, prima preferiva il lego e poi, quando avrebbe avuto l'età giusta, preferiva sperimentare con le cose elettriche. Quando Mino era bambino il lego non esisteva ancora.
Luciano aveva un garage con tredici macchinine, di cui una color argento con le porte che si aprivano. Aveva trovato il modo di rubare le lampadine dei fari delle automobili, le metteva in una scatola di latta dei biscotti al Plasmon, col coperchio incernierato e una maniglia sopra che si poteva portare in giro come una cassetta degli attrezzi. Una volta gli era venuto in mente di provare che luce facevano e col saldatore a stagno gli aveva attaccato dei fili, che poi aveva infilato in una presa di corrente. Si era sentito uno scoppio, era andata via la luce e si era formata una macchia nera intorno alla presa in corridoio, davanti alla porta della sua camera. Lui aveva detto che non si era fatto niente ma aveva le ciglia tutte bruciate che facevano un ricciolo sul pezzettino rimasto.
Il bello del meccano era che si potevano aggiungere altri pezzi, se all'inizio ne avevi pochi. Mino aveva comprato un motorino che funzionava a pile, si attaccava alle ruote e si poteva demoltiplicare per farlo andare più piano usando ruote più grandi e più piccole attaccate insieme con degli anelli di gomma fatti apposta. Luciano avrebbe voluto la pista delle macchinine e purtroppo non gliela regalarono mai.

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Da Bacon ai Beatles
Nuove immagini in Europa negli anni del rock
Milano, Museo della permanente
16.11.2011 - 12.2.2012

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La spider rossa

La macchina a pedali di Luciano era una spider rossa. Con le linee arrotondate del cofano davanti e i fari tondi, ricordava l'Alfa Romeo Giulietta, ma senza copriradiatore a forma di scudo. Aveva un solo posto e il volante in mezzo. Non aveva il parabrezza e nemmeno la capote ma nessuno ci faceva caso, a parte Anita. Era insofferente a quell'approssimazione, ma non c'era altro da fare dalla nonna. Le macchinine vere erano quelle delle giostre, che avevano il tetto e le porte che si aprivano, avevano due sedili davanti e due di dietro. L'unico fastidio era il volante davanti a tutti e quattro i posti, questo era proprio uno sbaglio che di volanti, nelle macchine, ce n'era sempre solo uno. Lei detestava quando qualche altro bambino era seduto nel posto del passeggero e girava il volante: guido io, gli diceva, lascia stare. Ma era inutile, non le davano retta. E poi alle giostre ci era andata una volta sola.
La macchinina rossa l'aveva vinta nonna Rina a una riffa e l'aveva regalata a Luciano, era l'unico maschio. Comprava sempre due o tre biglietti dal droghiere o dal prestinaio o dal lattaio e aveva vinto molte volte, uova di pasqua alte come un bambino di sei anni, ceste natalizie piene di paglia sintetica, un paio di bottiglie di spumante, un torrone e un panettone, e la macchinina. Sono fortunata, diceva lei. Compri troppi biglietti, diceva Amilcare ma non si arrabbiava, era l'unico suo vizio e se lo potevano permettere.
Luciano sfrecciava avanti e indietro nel corridoio lungo della casa della nonna, Anita seduta sul cofano davanti e la cugina Irma, che era più piccola, dietro. Le due bambine si mettevano un fularino in testa e Irma prendeva una piccola valigia, Anita la borsetta che la valigia non ce l'aveva, tenevano le bambole in braccio. Luciano parcheggiava vicino al portaombrelli.
"Siete pronte?" diceva. Loro frugavano nelle borse e tergiversavano, lui approfittava per farsi un altro giro da solo, "Vado a far benzina, fatevi trovare pronte." E se non erano pronte, andava a comprare le sigarette, oppure i vermi per pescare.
Con le bambine sui cofani Luciano faceva più fatica a pedalare, doveva spingere coi piedi per terra per partire.
"Perché vai così piano?" diceva Anita.
"C'è il traffico."



Commenti al Post: Da Bacon ai Beatles e la spider rossa



MaiMaturo il 17/12/11 alle 18:03 via WEB
Bello, quanti ricordi hai mosso! Il meccano l'avevo anch'io. Proprio quello di metallo. E ne facevo d'ogni. Era bello per la libertà che permetteva. Adesso i tempi sono cambiati. Puoi costruire diavolerie complicatissime, ma solo quelle e seguendo rigorosamente le istruzioni. OT: sopporto poco i libretti d'istruzione, soprattutto quelli dei giochi.

LaDonnaCamel il 18/12/11 alle 00:03 via WEB
Pure io non leggo mai i libretti di istruzioni, li legge la mia ragazza e se sono in giapponese tanto meglio :P

Hombre il 18/12/11 alle 00:52 via WEB
tien a men che tu essele enolmemente blava a giocale colle emozioni. Salà che sono declepito, ma tutte queste lobe le ho vissute pule io. Io molivo pel le piste elettliche. gianni ma anche fabio. se tu vede, salutale maimatulo

LaDonnaCamel il 18/12/11 alle 10:20 via WEB
Io no giocale, io lispettale. C'è semple un desidelio mai esaudito. Ciao Fabio. Ciao Gianni. Ciao Maimatulo. Ciao Furio :*

simurgh2 il 18/12/11 alle 11:59 via WEB
Negli anni del rock, quelli quando per noi era cominciato quel rock, magari trovavi ancora il bambino con la cassetta dei gelati appesa al collo, a venderli allo stadio, ai giardini, alla stazione. Un cornetto, un ricoperto pralinato. Non c'era in giro nessuno in quella domenica d'agosto e il ragazzino s'era seduto accanto a mio padre, sulla panchina. Mio padre non voleva il gelato. Oggi era meglio se non venivo, aveva detto il bambino. Quanti anni hai? gli chiese mio padre. Undici, gli disse. E mio padre gli disse, come mio figlio. Me lo disse poi alla sera, di quel bambino. Vedi, mi dice, lui era in giro a lavorare, non come te al laghetto a fare i bagni con tua mamma. Io stavo la ed avevo tirato fuori la scatola del meccano. Alla radio si sentiva Lady Madonna dei Beatles. Poi quello fu il primo disco che mia madre mi comprò assieme al mangiadischi. Un mangiadischi rosa. Non l'ho mai capita questa cosa del mangiadischi rosa. Si vede che non ce n'erano altri, o che era di occasione. Ce l'ho ancora, giu da basso in taverna, con i suoi dischi di allora. Mi ricordo di questa storia, di mio padre che mi parlava di quel ragazzino. Suo padre, quello del bambino, vendeva gelati anche lui con un carrettino. Siamo tre fratelli, aveva detto il bambino a mio padre. Mio padre era trasognato e, quando mi raccontava questa storia il suo sguardo non so dove guardava. Mi ha detto che il bambino aveva posato la cassetta per terra. Aveva infilato le mani nella tasca e tirato fuori un pacchetto di figurine. Le aveva messe in fila sul bordo della panchina. Poi gli dava dei colpetti col dorso di un dito e cosi cominciò a farle volare di sotto. Quelle che cadevano le une sopra le altre le prendeva e le metteva in un mucchietto a parte. Queste vincono, aveva detto il bambino guardando mio padre, come per spiegargli il gioco. Non so perchè avesse quello sguardo quando mi raccontava del bambino con la cassetta dei gelati e, in tasca, le figurine. Chissà cosa vedeva. E tu invece hai il meccano eh? Come dovessi sentirmi in colpa. Chissà cos'avevano che trovavano sempre una scusa per farti sentire in colpa o che avevi piu degli altri e che dovevi avere riguardo e cosi via, cosa avevano in quegli anni del rock, che non se la spassavano mica male neanche loro, in quegli anni del rock. Insomma è stato poi quel giorno del bambino con la cassetta dei gelati che ho chiesto a mia madre se mi comprava anche a me il mangiadischi. Quel giorno al laghetto ce n'erano un sacco che suonavano a manetta di mangiadischi. C'erano le batterie di scorta sull'erba. Cose cosi insomma, degli anni nostri del rock. Poi è cosi che ho imparato l'inglese. Lady madonna Lady Madonna children at your feet Wonder how you manage to make ends meet. Who finds the money when you pay the rent?<7i> Mi vien da ridere perchè allora me le inventavo le parole e facevo finta che erano vere, quando cantavo facendo le mosse davanti lo specchio in camera mia. Non so ancora cosa avesse nello sguardo mio padre quando mi raccontò questa cosa. Quello sguardo la che gli vedevo ogni tanto negli anni del rock.
Mi sa che me lo prendo e ne faccio un post anch'io degli anni del rock. e mi lasci ti cito perchè è bello il post con quella storia la del meccano. Bacon è uno di quelli che amo di piu in assoluto tra l'altro.

LaDonnaCamel il 18/12/11 alle 12:19 via WEB
È una storia bellissima questa qui, è un peccato lasciarla sacrificata nei commenti, te la metto fuori in appendice nel post e quando hai scritto il tuo te lo cito. Qui siamo citoni, è stato già detto.

Hombre il 18/12/11 alle 14:30 via WEB
molto molto bella simurgh... io il mangiadischi l'avevo verde pisello. Pepito si chiamava.

 

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