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vestivamo alla tiroleseDi quelle salubri vacanze in montagna ricordo soprattutto le grandi torte che le mucche lasciavano ovunque, anche nel cortile dell’albergo, anche vicino alle panchine, anche nel folto del bosco.

Io ne ero terrorizzata, avevo paura di metterci distrattamente un piede dentro. Poteva succedere, e di fatto succedeva, perché ero svagata di carattere, perché non ci vedevo e non se ne erano ancora accorti e perché erano davvero dappertutto, perfino in mezzo alla strada. Per me era un’onta terribile, una cosa di cui vergognarsi, soprattutto se si trattava di un lascito recente che nascondeva un composto molle e odoroso sotto la crosticina superficiale seccata dal sole.
Adesso mi viene da sorridere al pensiero, intanto perché porto gli occhiali e quindi mi sarebbe molto più facile schivarle, e poi perché le mucche non sono più lasciate così libere di scorrazzare da sole nell’abitato, non credo, e comunque non vado in montagna, sono salva.
Pensa se obbligassero i padroni delle mucche a tirarle su col sacchettino come fanno con i cani, dovrebbero andare in giro col badile, ma per loro fortuna non c’è ancora questa legge, almeno non mi risulta.
Da quelle parti le usano come concime e infatti le case e le baite hanno davanzali fioritissimi di gerani rigogliosi e colorati come non si vedono a Milano. Quelle parti erano la valle di Anterselva, tutte le estati, appena arrivati lì mia mamma correva a comprare un paio di calzoncini di cuoio per mio fratello, diceva che erano gli unici abbastanza resistenti da arrivare indenni fino alla fine della stagione estiva ma non mi ricordo di averglieli mai visti indossare a Milano: forse cresceva troppo in fretta e non gli andavano più bene. Io e mia sorella invece interpretavamo la moda del posto aggiungendo le bretelle alla gonnellina a pieghe. Io sotto la camicia perché le bretelle non mi piacevano, mi sembravano troppo da maschio per i miei gusti. La cosa da montagna erano le scarpe da riposo, non ho mai capito da cosa ci si dovesse riposare, che io quel giorno della foto non avevo, non voglio sapere perché.
Villeggiavamo in un albergo un po’ rustico, era l’unico della valle, un edificio squadrato senza ornamenti che si appoggiava a una fonte miracolosa che faceva nascere i bambini. Al piano terreno c’erano tante vasche da bagno e le donne che volevano i bambini si immergevano fino al collo nell’acqua magica, poi si sdraiavano su una specie di tavolo e la signora le picchiava forte, da fuori si sentiva il rumore degli schiaffi ma dicevano che era il massaggio. Non so se poi avevano davvero i bambini, di certo non subito: i bambini li conoscevo tutti e se ce ne fossero stati di nuovi l'avrei saputo. A cena noi stavamo in un tavolo a parte con la tata, che una volta aveva detto è arrivata l’acqua calda e la signora dell'albergo l’aveva guardata male. Tutti gli ospiti quando si sedevano per mangiare dicevano buon appetito e una volta non so chi di noi aveva risposto leccati il dito: avevano riso tanto e aspettavano che arrivassero gli altri e dicessero buon appetito per rispondere anche loro leccati il dito, come si sono divertiti tutti quella volta lì.
L’albergo come dicevo si appoggiava a questa fonte, non saprei dire se l'acqua sgorgasse precisamente lì o più in alto, so che sul retro c’era un ruscello che girava tutto intorno e si diramava in vari canali, c’era una specie di mulino con delle pale sommerse che spingeva l’acqua da un canale all’altro, non saprei dire esattamente perché, non ci vedevo bene ma ora so che quel genere di mulino basta mettere dentro un bastone, infilarlo tra le pale e l’acqua cambia direzione, invece di andare dove è previsto che vada esce dai bordi e si spande un po’ dappertutto come una pozzanghera gigante o un laghetto, e davvero non lo so di chi fosse il bastone e tanto meno chi l’avesse messo proprio lì. E se anche lo sapessi non lo direi perché chi fa spia non è figlio di Maria.

 

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