testata camel

la caffettiera faemina di mia nonna

Avevo una caffettiera che era stata di mia nonna, me l'avevano assegnata in dote quando mi sono sposata. Era già fuori produzione all'epoca ma noi, intendo le donne della mia famiglia, quando era fallita la ditta che le produceva avevamo fatto incetta e ne avevamo anche qualche esemplare di riserva. Si trattava di una macchinetta molto particolare, era in grado di fare il caffè espresso senza bisogno di corrente elettrica, utilizzando acqua calda e, per metterla in pressione, la forza muscolare dell'operatore. Quando venivano i miei amici restavano ore a guardarmi azionare i bracci, Mario in particolare voleva sempre fare lui il caffè e passavamo le notti svegli da quanti ne bevevamo.


Poi le ingiurie del tempo hanno avuto ragione, se non della struttura, che era una fusione di alluminio in monoblocco, robustissima, si potrebbe dire quasi eterna, delle guarnizioni di gomma. Si erano seccate, degradate, vulcanizzate, chi lo sa. Non tenevano più. L'acqua calda schiacciata dentro a forza di braccia spruzzava dal di sopra invece che passare attraverso il caffè, spruzzava dappertutto una fanghiglia grigiastra ma il caffè no, la tazzina restava vuota. E non erano ovviamente più in commercio, l'ultima l'aveva trovata mia zia su una bancarella della Fiera di Sinigaglia ma era stato un caso, una fortunata coincidenza.
Così me ne sono fatta una ragione e mi sono comprata una macchina espresso come quella del bar, una Saeco. A quei tempi non c'era ancora George Clooney e le sue capsulette colorate, ma poi, ti pare che dobbiamo bere il caffè degli americani? Ma se son famosi per il caffè schifoso, al pari dei tedeschi e degli inglesi, che apposta hanno inventato il té visto che non riescono a berlo nemmeno loro.
In ogni modo nella mia si metteva la polvere direttamente nel filtro, tale e quale al bar, ma più in piccolo. Era buonissimo, mi dispiace dirlo ma era anche meglio di quello della nonna.
Purtroppo sic transit gloria mundi anche questa a un certo punto ha cominciato a sgocciolare invece che erogare, tossicchiare, soffiare vapori come un drago costipato fino a seccarsi definitivamente.
Sì sì, lo so cosa stai per dire: è il calcare.
Non sono così sprovveduta, avevo fatto il ciclo di manutenzione come scritto sul manuale, avevo messo le bustine, le pastiglie, il liquidino ma niente, zero calcare. Cosa dovevo fare? Ormai mi ero abituata, ne ho presa un'altra. Una Bagutta tutta rossa, compatta e economica. E' durata meno di un anno. Chi più spende meno spende, signora mia.
Ma io ero già povera, la crisi cominciava a farsi sentire e il lavoro a scarseggiare: non potevo permettermi di comprare un'altra, ennesima macchina del caffè, e tanto meno più spendere per meno spendere. Rassegnarmi alla moka? Mai.
Ho messo via i punti dell'Esselunga e ho preso la De Longhi Urania, un modello di prestigio ma diffuso, tutta cromata con sopra un pomello rotondo nero e un balconcino con la balaustra per mettere a scaldare le tazzine. Sembrava un ufo. E faceva il caffè a ufo, con la cremina sopra come nei migliori sogni delle pubblicità.
Quando ha smesso di funzionare non me la sono sentita di buttarla, l'ho messa in un ripiano in alto con lo stesso spirito di quelli che si fanno congelare nell'attesa che qualcuno scopra un rimedio contro la malattia mortale che li ha uccisi.
Il caffè della moka non è poi così male, specialmente quella dell'omino coi baffi, la Bialetti autentica.
Non è vero, lo ammetto, è una bugia.
Io poi non ce l'ho nemmeno. Ho una Tobino in acciao inox un po' ammaccata e con il manico bruciato, con la plastica sciolta in basso in una goccia e di più non si può fare, ci sono altre priorità. Il caffè anzi è meglio se non lo bevo: sono vecchia, sono stanca, non dormo la notte e ho avuto anche il colpo della strega.

 

A lungo andare, sai, ci si accontenta, spesso vado al bar della pasticceria Martesana con Massimo e mi godo il super espresso vero, a volte l'accompagno con una brioche alla marmellata di albicocche, la fanno loro, a volte con due biscotti Campiello che mi porto da casa, costano meno.
Se ti rassegni e non ci pensi più vedrai, succede l'imprevisto, ed è successo una mattina chiara di qualche giorno fa. Dopo il caffè alla Martesana siamo andati a far due passi e Massimo mi ha raccontato che la sua macchina del caffè espresso non funziona più.
Sto pensando di comprarne un'altra, mi ha detto, il caffè non esce, sputacchia e borbotta, deve essere rotta.
L'hai fatto il ciclo del calcare? gli ho ricordato, saputella.
Sì, due volte, ma non cambia niente.
Nel frattempo siamo arrivati alla stazione centrale all'ingresso di Mediaworld, quello che da non molto ha sostituito il Saturn perché pochi negozi, in questa città, restano lì dove sono per tutto il tempo.
Ne vuoi comprare un'altra?
Mah, vediamo cosa mi dicono. E' in garanzia ma non l'ho comprata qui.
I due giovanotti del reparto, uno biondino, l'altro calvino, ci stanno a sentire con interesse. In una mattina feriale il reparto è vuoto, si annoiano forse?
Il calcare non c'entra, signora mia, la colpa è dell'olio del caffè che intasa i condotti. Bisogna sgrassare la macchina con le pastiglie di manutenzione Saeco.
Ah, davvero? E quanto costano?
Dieci euro, ma non le abbiamo. Sono terminate.
A dire la verità il discorso è stato molto più lungo e articolatissimo, botta e risposta, ma lo faccio breve per non annoiare il mio unico lettore ancora rimasto sveglio. Grazie sai, significhi molto per me.
A pensarci bene, credo che i due venditori ci abbiano detto un segreto che andava contro il loro interesse e contro la casta tutta dei venditori di caffettiere espresso e secondo me doveva essere vero. Massimo dubitava un po' ma io insistevo, bisognava mettere alla prova la soffiata il più presto possibile.
Siamo andati di filato in via Scarlatti dove c'è un piccolo negozio di riparazione e ricambi di elettrodomestici. No, non è il ferramenta che fa le officine in miniatura ma è lì vicino. Non aveva le pastiglie ma le poteva ordinare, ci interessava?
Certo che ci interessava.
Dopo soli due o tre giorni ecco le pastiglie.
Lo facciamo insieme? lo fai tu? Lo faccio io?
Lo faccio io, tanto non ho niente da perdere.
Ho preso la scala e ho tirato giù il cadavere della mia De Longhi. Era tutta impolverata, opaca, non sembrava neanche lei. L'ho lavata, l'ho pulita, l'ho lustrata e poi l'ho messa vicino alla Saeco di Massimo, sembrava l'ospedale delle caffettiere.
Ho aperto il pacchetto delle pasticche e con la lente ho letto le istruzioni: si vede che doveva essere proprio una ricetta magica come quella che si ricava l'oro dal piombo con la pietra filosofale perché erano scritte piccolissime, più del bugiardino delle medicine, e reticenti, certe cose le ho dovute indovinare.
Non dirò niente infatti di come ho smontato il portafiltro e il filtro, di come l'ho immerso nella portentosa soluzione, di quanto tempo ho atteso l'effetto dell'intruglio, dei buchetti ribucati e delle valvole stappate, non vorrei subire ripercussioni dal sindacato dei venditori di macchine del caffè espresso. E poi sono esperienze che, raggiunta una certa età ciascuno deve fare da sé.
Dirò solo che la resurrezione della caffettiera è possibile e avviene due o tre giorni dopo la nostra pasqua, che sono di nuovo espressizzata come nei miei anni migliori e se mi vieni a trovare ti offro uno dei miei famosi caffè, forte e ristretto, con due dita di cremina sopra e il profumo inconfondibile della miscela Flaiano.

Spiegone dell'eds Ennio Flaiano Esercizio di stile dei premi letterari

“Chi apre il periodo, lo chiuda. È pericoloso sporgersi dal capitolo. Cedete il condizionale alle persone anziane, alle donne e agli invalidi. Lasciate l’avverbio dove vorreste trovarlo. Chi tocca l’apostrofo muore. Abolito l’articolo, non si accettano reclami. La persona educata non sputa sul componimento. Non usare l’esclamativo dopo le 22. Non si risponde degli aggettivi incustoditi. Per gli anacoluti, servirsi del cestino. Tenere i soggetti al guinzaglio. Non calpestare le metafore. I punti di sospensione si pagano a parte. Non usare le sdrucciole se la strada è bagnata. Per le rime rivolgersi al portiere. L’uso del dialetto è vietato ai minori di 16 anni. È vietato servirsi del sonetto durante le fermate. È vietato aprire le parentesi durante la corsa. Nulla è dovuto al poeta per il recapito”.

Ho letto stamattina su l'Internazionale che già nel 1959 c'erano troppo premi letterari, difatti il pezzo citato sopra era una serie di "consigli a un giovane analfabeta che vuol darsi alla letteratura attratto dal numero dei premi letterari". Adesso, per dire, son più di 99.

Visto che anche oggi è pieno di giovani analfabeti e aspiranti tali, propongo un semplice esercizio come quelli che ci facevano divertire tanto tempo fa. Si scriva dunque un testo a piacere sul proprio blog, il testo contenga le seguenti parole, indeclinate: strega, campiello, bancarella, chiara, tedeschi, urania, tobino, calvino, bagutta e, per estremo sberleffo, flaiano. Chi ha scritto metta un link a questo blog e a tutti gli altri che abbian scritto o scriveranno, e questo è sempre stato il miglior premio letterario.

 

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