Preferiti

Perché lo dico io, perché sì.

  • A pesca con papà

    Mio padre ha sempre pescato. Da quando la mia memoria può dare un senso al passato, canne da pesca, cestini puzzolenti, pesciolini vivi natanti nel bidet di casa hanno fatto parte degli accessori di cui era corredato papà.
    Ci sono vecchie foto di famiglia in cui si vede papà che confronta il Dedo con un grosso pesce, tenendolo per coda (il pesce, non mio fratello).
    Comunque era più alto il bambino.

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  • Fotografia di mio padre

    Gli stivaloni di mio padre erano di gomma verde militare con la suola a carroarmato marroncina. Erano veramente enormi, sia perché lui portava il 45 di piede che in confronto a me bambina era incommensurabile, sia perché erano altissimi, gli arrivavano a metà coscia e quindi erano un po’ più alti di me. Però erano molli e non stavano su da soli, me li ricordo sempre piegati in due o tre. In alto avevano dei gancetti che volendo si potevano usare per tenerli su, come una specie di reggicalze, accessorio che a quei tempi faceva ancora parte del guardaroba di tutti i giorni delle donne: la mamma e la nonna lo usavano e ho fatto in tempo a usarlo pure io per un po’: le prime collant le ho messe in terza liceo; ma papà non li agganciava, non so come ma in qualche modo gli stavano su da soli.
    Qualche volta mio fratello aveva provato a infilarseli ma anche se si piegavano non riusciva ad arrivare in fondo col piede e non poteva fare nemmeno un passo, mica come pollicino che aveva rubato quelli dell’orco e gli stavano a pennello.

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  • L'algoritmo del paté

    L'algoritmo del paté è una metafora: per forza: il paté è un'arte, non una scienza esatta. Impossibile riprodurre il rapporto stechiometrico degli elementi, nemmeno con la bilancia atomica. Nemmeno controllando temperatura-pressione-umidità relativa. La materia culinaria proviene dalla vita, proprio come la materia narrativa. Una vita un po' meno consapevole, quella delle galline che generosamente hanno donato il proprio fegato per il compimento della sublime miscela. Ma non è detto...
    Il risultato è sempre maggiore della somma delle sue parti, ma l'ingrediente fondamentale è l'amore. L'amore che bisogna mettere in tutte le cose, per la migliore riuscita, se no la maionese impazzisce, la torta non lievita, il racconto non convince.

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  • La vera storia della Donna Camèl

    Ho riportato qui le puntate tutte insieme ma nel blog originale erano state pubblicate un po' alla volta, come un vero e avventuroso romanzo d'appendice, e di conseguenza i commenti. La storia è semivera e a sua volta era stata scritta ancora prima, per un'altra occasione, ma del resto le vicende narrate affondano le radici nel tempo.

    (Editato il 31 luglio 2017)

     


    Capitolo primo: Siam pronti a partir

    Ho tirato fuori l'album del Sahara per rinfrescarmi la memoria. E' un grande quaderno ad anelli con i fogli in cartoncino bianco e vicino alle foto ci sono le mie annotazioni: date, nomi, luoghi (scordatevelo! :P).

    Così posso ricordare che siamo partiti da Milano il 20 luglio del 1978, mica male: ci potrei scrivere un romanzo storico.

    Ma, già che ci siamo, sarebbe meglio andare indietro ancora di qualche mese, fino alla primavera di quell'anno, quella sera a casa di J&B (che sembra una marca di whisky ma giuro che non è così).
    Erano gli unici della compagnia già sposati, così la loro casa diventava per forza un centro gravitazionale, un posto dove andare invece del bar.

    Eccoci tutti quanti inginocchiati o seduti per terra intorno alla carta ben spianata, e B che spiegava l'itinerario, minimizzava i problemi, decideva le tappe. Lui c'era già stato: Tunisia, Algeria e Marocco, aveva solo diciassette anni, uno zaino e il portafoglio bello pieno. Qualunque cosa si volesse fare, B l'aveva già fatta, come se avesse vissuto un'altra vita, prima, e aveva solo un paio d'anni più di noi.

    M annuiva entusiasta, io domandavo che ci andavamo a fare nel deserto in agosto, o comunque nel deserto: a me piaceva il mare. Niente, mi fu promesso che prima e dopo ci saremmo fermati anche al mare: allora accettai - perplessa.

    Ma non volevamo partire come degli sprovveduti: ci saremmo preparati a dovere. B aveva un vecchio furgone, ci avrebbe messo dei mobili e l'avrebbe trasformato in un camper. Noi? Be', avevamo la cinquecento di M e la tenda canadese.
    Ah no, io non ci dormo in tenda, chissà che bestiacce strisciano da quelle parti: serpenti, scorpioni, scarafaggi immondi… E va bene, allora facciamo l'air-camping.
    E cosi' fu fatto.

     

    la donna camel va nel sahara

     

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  • Mi immaginavo di avere tutto il tempo del mondo

    tecla e landsdaleMa come fate a truccarvi tutti i giorni e arrivare alle sei di sera ancora a posto? Mi diceva invece di salutarmi. Era il suo modo per dire che stavo bene, che anche in un giorno feriale ero a posto, una bella signora, in ordine. In verità non mi truccavo, al massimo era una spolverata di cipria e una riga di matita, un po' di profumo dietro le orecchie perché il posto era piccolo, seduti tutti così vicini, non si sa mai.
    Infatti le sedie venivano tirate fuori al momento, messe in fila una contro l'altra, dall'altra parte una panchina come quelle che a Milano si trovano nei giardini. Sulla panchina gli autori, noi gli sgabelli o spesso anche in piedi, contro gli scaffali.
    C'erano almeno due presentazioni alla settimana, una il martedì o il giovedì all'ora dell'aperitivo, l'altra il sabato mattina. Chiamarle presentazioni era anche riduttivo, non le rendeva certo grazia. C'era il vino, sempre, ma anche il risotto, o la pasta, il salame, il formaggio, la focaccia, i dolci. Una volta dei cannoli siciliani arrivati in aereo insieme all'autore, un'esperienza mistica. Una volta un paté di prosciutto fatto dall'autrice stessa, che non ero io.
    C'erano anche i libri, certo, sembra quasi che fossero solo un pretesto e invece ne ho letti tanti grazie a lei, ho avuto modo di parlarne con gli autori, di cominciare discorsi, di intessere relazioni, amicizie, passioni.

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  • Poesia del non compleanno e ricci pop

    Siccome domani è il mio non-compleanno e comunque avevo da mettere questa poesia che ho scritto il sedici settembre del duemiladieci che ormai sono arrivata qui e ci tenevo a ripubblicarla perché aveva riscosso il suo bel successone, la abbino a una foto che non c'entra nulla ma aveva riscosso a suo volta: basta nonni vintage e bianco e nero, adesso tocca ai rayban riflessi e ricci pop - questa maglietta la metto ancora, non sarè passato poi tanto tempo, vero? Edit nove ottobre quasi cieci duemiladiciassette.

    poesia del non compleanno

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  • Poesia del palombaro per celebrare il post 500 del vecchio blog

     

    Il palombaro parla con voce metallica
    attraverso il suo casco
    di vetro spesso e ferro.
    Dice di che colore sono le tue
    ma dal casco escono gracchiando
    frasi diverse come
    è aumentato il biglietto del tram e anche
    la mostra del novecento è
    vorrei rispondere
    sono rosa madreperlate
    ma annuisco
    piego la testa e gli sorrido
    potrei dire qualsiasi colore
    che tanto non saprebbe sentire.

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  • Prendere il largo

    La barca bianca e celeste si stacca dal molo. Scivola veloce e sicura sull'acqua calma. Intorno a me l'assolata inoperosità della domenica pomeriggio. Windsurf stesi sulla riva. Tre signore in costume chiacchierano sullo scivolo di cemento, con i piedi in acqua. I soliti sfaccendati, appoggiati al parapetto, guardano le barche uscire o rientrare. Criticano le manovre lanciandosi l'un l'altro sguardi di intesa e indossano l'aria di chi avrebbe saputo fare molto meglio. La brezza leggera accarezza la mia pelle abbronzata troppo in fretta, ma è un refrigerio ingannevole.

    -Mamma, vorrei sistemare un po' la mia camera.
    Non ero sicura di aver capito bene. Riordinare "spontaneamente" quella specie di retrobottega di rigattiere che per abitudine continuavamo a chiamare camera di M.?

    Arrivata all'altezza del frangiflutti la piccola randa passa e la barca bianca e celeste accosta a sinistra. La manovra ha solo una lieve incertezza, poi riprende la sua rotta. Non lontano un uomo con la muta e le bombole sta per immergersi. Siede sul bordo di un gommone dando le spalle all'acqua. Tenendo una mano sulla maschera si rovescia all'indietro e sparisce tra gli spruzzi.

    Guardavo la fila di scatoloni allineati in corridoio. Bambole, peluche, mobili in miniatura. E poi piattini, pentoline, una cucinetta completa, perfino il cavallo a dondolo.
    -M., ma sei sicura di voler dare via tutta questa roba?
    Mia figlia mi sorrideva bonariamente, con la pazienza di quello che spiega a chi non vuol capire:
    -Ne ho tenute quattro, le mie preferite. Per ricordo. È tanto che non ci gioco più. Il cavallo lo passo a F.

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  • Ritorna ancora e prendimi

    Ho raggruppato alcuni post che parlano di questa raccolta di racconti erotici che è stata prodotta e pubblicata da un piccolo gruppo di amici frequentatori del newsgroup it.sesso.racconti, alla quale ho collaborato con grande impegno sia nella fase organizzativa della preparazione, editing e pubblicazione del materiale, sia nella promozione del libro.
    Dai messaggi e soprattutto dai commenti a questi post si può notare come le intenzioni dell'operazione siano state fraintese e, probabilmente anche a causa del generere letterario, gli scrittori partecipanti siano stati accusati dei delitti più nefasti e abietti. Ma cosa è successo, di preciso? Nei primi giorni l'iniziativa ha prodotto molte condivisioni nei blog amici ma la popolarità raggiunta in brevissimo tempo si è trasformata in un'ondata di odio da parte di alcuni membri della comunità di Libero che hanno coperto di insulti il mio blog e soprattutto i blog dei sostenitori del progetto. Non è piaciuto che i diritti d'autore fossero stati interamente devoluti a Medici senza frontiere, a prescindere dal fatto che nell'immediato mi sia spiegata per mail e per telefono in modo cordiale e tranquillo con i dirigenti della comunicazione dell'organizzazione umanitaria: non sono stati certo loro a incitare all'odio, ci tengo a sottolinearlo ancora, dopo tanto tempo.
    Dieci anni fa non ero abituata a questi personaggi che si mobilitano e si danno il passaparola per andare in branco a porgere insulti gratuiti a qualcuno che nemmeno conoscono e sono rimasta malissimo, ho dovuto chiudere i commenti al blog per qualche tempo per lasciar depositare quel polverone e mi sono anche scusata, come se fosse stata colpa mia. Si vede che la natura dell'uomo è sempre la stessa e trova il modo di esprimersi con gli strumenti che ha a disposizione.

    La tempesta è durata solo una settimana, ma ha lasciato segni profondi.

    (edit 19 agosto 2017)

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  • Scrivere è il mio gioco preferito

    Questa è un cosa piccola ma importante (edit 12 settembre 2017)

    Sai una cosa? Il mio gioco preferito è scrivere. Se riesco a lasciarmi andare, a non avere paura, mi riempie la vita come a essere innamorata. Ci penso tutto il tempo, mentre faccio le altre cose, e non vedo l'ora di tornare lì. E poi sono piena di dubbi. Non lo so se mi ricambia, se tutto questo investimento emotivo porterà a un risultato o se stizzita chiuderò la finestra senza salvare. Però è bellissimo.

    scrivere il mio gioco preferito

    Mi contraddico, forse? Ebbene, allora mi contraddico (sono vasta, contengo moltitudini) (cit)

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  • Scrivere, pedalare, scrivere di pedalare

    scrivere, pedalare, scrivere di pedalare

    Ho reimparato da poco la bicicletta. Le circostanze sono state fortuite o forse necessarie, non è questo di cui ti voglio parlare. Quello che volevo dirti è che c'era un amico che mi teneva metaforicamente il sellino e mi spingeva perché avevo paura. Mi piaceva da matti l'idea di andare in bici ma avevo paura, non l'avevo mai fatto prima, ero tenuta, bloccata, chi lo sa? Il primo giorno siamo andati in piazza duomo e poi sui navigli, una stancata pazzesca, quattro ore per fare due chilometri: ogni trenta metri ero ferma, se vedevo un pedone all'orizzonte, se c'era una briciolina sulla strada, se dovevo grattarmi il naso. Il mio amico andava avanti pianissimo e ogni tanto si voltava per vedere se arrivavo, tornava indietro a prendermi con una pazienza infinita, come fanno i gatti quando vogliono portarti da qualche parte, hai presente? Io sbanfavo e sudavo come se stessi facendo la milano sanremo ma ce la mettevo tutta, quel giorno. E alla sera ero tutta fiera di me, mi pareva di aver fatto una grande impresa, una cosa eroica, epica. Il giorno dopo il mio amico era venuto a prendermi di nuovo con la bici, e il giorno seguente ancora. Mi portava su marciapiedi stretti o dove passavano le macchine e io avevo male al culo e avevo paura. Se mi fermavo troppo spesso non mi aspettava, se scendevo dalla bici e la spingevo a mano per superare una difficoltà si spazientiva. Mi ripeteva che dovevo andare e andare se no non imparavo più, che lui non ci guadagnava niente a spingermi, se non lo volevo capire da sola era peggio per me.

    Mi faceva male il culo e lo odiavo.

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