Io ne scrivo e non ho mai messo in discussione la verità di queste leggende familiari, solo stasera, per la prima volta, pensando alle anguille con l’ombrello comincio a dubitare che alcune fossero fanfaronate, o barzellette, o che forse avevo capito male io, che per tutti questi anni ho serbato per ricordo un malinteso, un doppio senso mai compreso, cose di grandi interpretate con i carenti mezzi di una bambina che non ha mai perso una certa sua innocenza.
Potrei documentarmi, chiedere a mia madre o allo zio, che ai tempi, ragazzetto con i calzoni corti, aveva partecipato a quelle battute notturne ma non mi va, dopotutto che importa di come sono andati i fatti? Che poi, della pesca all’anguilla non so nulla, se usassero le canne o i bolentini a mano o le reti, che esche, che ami, piombi a fondo o galleggianti. In qualche modo le prendevano, queste bestiole immortali che mi si dice si dibattano ancora, tagliate a pezzi e infarinate, fino a un attimo prima di incontrare l’olio bollente della frittura. Il fatto curioso è che le mettevano in un ombrello per non farle scappare. Tutto qui? E ti sembra poco? Le anguille sono agili e furbe, si dimenano come da detto proverbiale e passano da tutti i pertugi, son capaci di evadere da un cestino chiuso, da un secchio vuoto, dalla borsa della spesa mentre torni dal mercato, campano senz’acqua, al caldo, al freddo, al digiuno, peggio dei dannati dell’inferno che più morti di così non possono diventare.