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Quando ero in prima elementare sono stata tre settimane in isolamento all’Ospedale di Niguarda, è un ricordo indelebile che affiora in questi giorni per via della parola isolamento che quella volta sentivo ripetere, non sapevo cosa volesse dire ma a istinto non mi ispirava per niente. Avevo la scarlattina, una malattia che oggi si cura in cinque giorni ma a quei tempi non avevano ancora inventato le medicine adatte, pensa che non c’era nemmeno internet e la televisione era in bianco e nero.

Sono stata in isolamento 20 giorni allospedale

Sono stata in isolamento 20 giorni all’ospedale

(ma nella foto sono a casa con i miei fratellini)

Mi avevano messa in isolamento perché avevo dei fratellini piccoli e quella malattia era molto pericolosa per le conseguenze che poteva portare: non so con precisione che gravi malanni ne potessero scaturire ma so che nei due anni successivi mi è toccato andare ogni mese dalla portinaia a farmi fare la puntura, per me una conseguenza bastevolmente spiacevole da consigliare l’isolamento per tutti.

All’ospedale la mia stanza era a pian terreno e aveva una grande finestra vetrata che non si poteva aprire ma permetteva a mia mamma, mia nonna e alla zia Mariuccia di venire a vedermi: questo era il Pantheon delle donne della mia famiglia, non mi ricordo di aver visto padri, zii o nonni ma forse su questo aspetto la memoria mi inganna. Non mi inganna sui pianti disperati e sui litri di lacrime che spruzzavo su quei vetri, dato che la pena delle mie care ascendenti alla vista delle mie sceneggiate mi è stata rinfacciata per anni e so per certo che anche loro nascondevano qualche lacrimuccia nel fazzoletto, tornando a casa.

Mi dicono che poi ballavo in piedi sul letto con la mia compagna di stanza e forse è anche vero ma il fatto si è verificato una volta sola, quando invece della mia solita camicina da notte mi avevano messo quella dell’ospedale, che sembrava una gonna a tubino come quella di Mina, e per questo avevo cantato Tintarella di luna: è colpa mia se proprio in quel momento passavano i dottori per fare il loro giro e sono entrati a dare un’occhiata?

Avevo preso un rotolo vuoto di cartone lasciato lì dalle infermiere e lo usavo come microfono come avevo visto fare alla televisione, che era in bianco e nero come ti ho detto, ma trasmetteva già Canzonissima e Carosello, non so se mi spiego.

Gli applausi dei dottori avevano attirato l’attenzione della caposala che era venuta anche lei a vedere che cosa stesse succedendo e dopo una serie di bis richiesti dalla piccola folla che si era raccolta intorno al mio letto, a malincuore ha dovuto far defluire il pubblico.

Più tardi il dottore del turno di notte, che non aveva potuto assistere allo spettacolo, è venuto a svegliarmi, mi ha tirato il naso e mi ha chiamata per nome ma non c’è stato verso, me l’ha detto il giorno dopo, non mi sono voluta esibire. Oh, Paganini non ripete, si vede che avevo troppo sonno.

E pensare che quel dottorino lì mi piaceva molto, assomigliava a Corrado Pani e faceva il piacione con me che, lo ammetto, con lui facevo un po’ la civetta, ma solo un po’.

Forse è stato per questo, ma forse anche no, che non ero riuscita ad accontentarlo quando mi aveva chiesto di fare la pipì.

Era una richiesta che ogni tanto mi facevano alla mattina presto, dovevo usare il vasino che avevamo nel bagno privato della stanza: quella volta lui mi aveva sorriso e me lo aveva chiesto come un favore personale, come se fosse uno strappo alla regola, dato che era pomeriggio: puoi fare un po’ di pipì nel vasino, adesso, solo per me? Certo! Posso fare la pipì tutte le volte che voglio! Sbruffona.

Ma infatti la pipì l’avevo fatta, solo che mi ero dimenticata, con tutta quell’emozione, di farla nel vasino. L’avevo fatta nel water, poi quando mi ero voltata per far scorrere l’acqua mi era tornato in mente! E adesso?

Avevo preso il vasino, ma, orrore, c’era dentro il verme lungo mezzo metro che l’infermiera aveva estratto dal sedere del bambino del terzo lettino della stanza. Ci aveva messo un coperchio blu e poi si era dimenticata di dirlo alla caposala, che sbadata.

Io mica potevo dire che l’avevo fatta nel water, che figura, ormai mi ero impegnata. Ero tornata in stanza e avevo detto che non potevo usare il vasino perché c’era dentro il verme.

Che verme?

L’infermiera era corsa là, tutta rossa in faccia, e dopo un certo trambusto, urli e porte sbattute, mi avevano dato un altro vasino, e però adesso mica mi veniva la pipì: l’avevo appena fatta.

Provaci, su dai, fallo per me. Vuoi bere un po’ d’acqua?

Magari l’acqua può aiutare, ma io non volevo a nessun costo confessare al mio dottore preferito la sbadataggine, come se non volessi fare questa cosa per lui. Ma però non sempre si può fare quello che si vuole e perciò niente pipì, mi dispiace tanto.

Di queste cose forse i miei genitori non erano stati informati, infatti il giorno dopo mia mamma mi aveva portato la tanto agognata bambola vestita da principessa, il che voleva dire che non ero in punizione, giusto? Purtroppo non era proprio uguale a quella della mia vicina di letto come avrei voluto ma pazienza, ero abituata all’imprecisione con cui venivano esauditi i miei desideri. Chissà perché i giocattoli, i quaderni, le matite, insomma le cose che avevo io erano sempre un po’ diverse da quelle dei miei compagni di scuola?

La mia vicina, di cui non mi ricordo il nome ma solo la località di provenienza, Varedo, aveva una di quelle bambolone che nei paesi venivano messe al centro del letto matrimoniale per bellezza, con la vestina di taffetà azzurra e la parrucca a boccoli biondi. Un oggetto così kitsch mia mamma non l’avrebbe mai potuto toccare nemmeno con un dito, e infatti la mia era molto più piccola e mora ma aveva un vestito carino e anche un cappello di paglia, bisogna sapersi accontentare. Purtroppo quando sono tornata a casa non ho potuto portarla con me perché era contaminata dalla malattia e avrei fatto ammalare i miei fratellini.

Poi non so se è stata una scusa perché una volta uscita dall’ospedale sono andata a casa della nonna e ci sono stata ancora un bel po’ di tempo in convalescenza, non so quanto giorni o mesi però so che in quel tempo ho recuperato tutti i compiti che non avevo fatto durante la malattia.

La mia maestra aveva dato a mia nonna una serie di istruzioni molto precise e mia nonna faceva tutti i disegni e le lettere scritte bene sulla lavagna del mio banco di scuola pieghevole, lettere e disegni che io copiavo diligente nel mio quaderno a quadretti. Per questo so con sicurezza che ero in prima elementare, mi ricordo il disegno del soldato sull’attenti con la baionetta e tutte le esse maiuscole, minuscole, corsive e stampatelle come una di quelle istantanee che restano per sempre impresse nella memoria. E ti assicuro che questo genere di cose non c’è modo di recuperarle su google.

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