testata camel

Ogni volta che passo nel triangolo tra via Vassallo, via Cagliero e Piazza Farina, una rotonda non lontano da casa mia, non posso fare a meno di pensare a un racconto che avevo scritto qualche anno fa per l'eds sui colori, quello sul giallo che doveva tra l'altro contenere una canzone dei Beatles. Guardo le case rosa, il cortile dell'oratorio, l'aiuola nel mezzo dell'incrocio e mi sembra di vedere il sagrestano che esce furtivamente dalla palazzina D, Luigina Pietrobono che suona il campanello della canonica, Eleonora Ribbi che raccoglie il riso sul sagrato della chiesa.
Probabilmente tutto questo mi succede ancora perché sono andata più volte a vedere i luoghi dove pensavo di ambientare le singole scene, me li fissavo bene nella mente perché volevo dare un contorno reale ai miei personaggi inventati, con la certezza che questo mi avrebbe aiutata a farli sembrare più veri, anche se poi dentro nel testo non mi sono dilungata in lunghe descrizioni manzoniane a volo d'uccello tipo rami di laghi e catene non interrotte.
La sospensione dell'incredulità funziona meglio se ci metti dentro qualche cosa di vero o almeno verosimile e il mio lettore non vede l'ora di crederci. Io, che sono gentile, non vedo l'ora di farglielo credere.

Leggo sempre il blog Seogarden di Francesco Margherita, lo leggevo da prima che la SEO entrasse a far parte dei miei interessi di lavoro e di gioco, per questo mi è piaciuto riportare questa piccola citazione, che ho messo in un post del 14 febbraio 2016 del vecchio blog in dismissione e che va bene ancora, va bene sempre. Per inciso, proprio oggi gli ho scritto che non è vero che non ha i superpoteri, per far capire in sintensi l'influenza del mio influencer.

"Una cosa vera è un’arma potente in qualunque trattativa di lavoro o attività di comunicazione. Una cosa vera è ciò di cui sei assolutamente certo, perché nel dirla ad alta voce ti senti a posto con te stesso. Qualunque essere vivente è in grado di capire se quello che dice è vero oppure no."

la verita francesco margherita e i misteri della natura

scrivere per qualcuno o per tutti

Nei miei begli anni ho frequentato qualche laboratorio di scrittura, il primo con Laura Lepri presso il Teatro Verdi a Milano, si trattava di un corso che era stato di Giuseppe Pontiggia, un grande autore che ho avuto modo di ascoltare in un paio di lezioni che ci aveva tenuto, ma a quei tempi ero ancora un pi’ troppo cruda per fare tesono appieno di questa opportunità.
Un bel po’ di anni dopo ho conosciuto Paolo Cognetti che era un giovane regista di belle speranze: avevo adorato i suoi due libri, due raccolte di racconti uscite con Minimum Fax e accettai con gioia il suo invito al laboratorio di scrittura che avrebbe inaugurato alla Scighera. È stato un periodo di scrittura felice: io sostenevo di scrivere solo per divertimento, non avevo velleità di pubblicazione e producevo con lena tutti i racconti che venivano assegnati come compito, mi offrivo volontaria alla lettura pubblica e accettavo le critiche come una preziosa occasione di crescita.

scolari dei laboratori di scrittura creativaSi scrivevano racconti in tre parti, o in tre fasi, secondo la scuola di scrittura creativa americana e questo sistema aveva anche una sua utilità pratica perché si potevano costruire racconti corposi maneggiandone un pezzo alla volta. La lettura dei testi in aula è il momento più noioso della lezione e se il racconto è molto lungo si porta via la maggior parte del tempo a disposizione, ma se si tratta solo di uno dei tre blocchi si fa più presto e bene. Il bello dei laboratori invece è la discussione: sulla trama o sulla struttura, i consigli su come cambiare questa o quella soluzione per far funzionare meglio la storia, non tanto le questioni linguistiche quanto proprio la gestione del materiale narrativo.
Sviluppare la propria voce è importante, sia chiaro, ma per spolverare gli avverbi ci sono gli editor, vale a dire i revisori assegnati dalla casa editrice eventuale o ingaggiati dagli autori stessi: chi ti assicura invece che la tua storia acchiappa i lettori? se i personaggi sono interessanti, amabili o odiabili ma vivi, verosimili? Dando per scontato di avere tutti un livello di correttezza sintattica sufficiente e una minima capacità di mantenere il registro linguistico scelto, per istinto o per studio o per esperienza.

Mio papà fotografava i pesci come io fotografo i pomodori. È forse un modo di rendere più duraturo l’effimero delle cose della natura, le cose che coltiviamo o raccogliamo o catturiamo. Si vede che vogliamo dare una forma di permanenza agli oggetti prima del processo di incorporazione: tranquillo mi fermo qui, non voglio fare un trattato ma solo notare questa somiglianza. Io fotografo i pomodori e le verzure del mio orto cittadino, se vai indietro su facebook e sul blog, su instagram e nei backup dei miei telefoni puoi vedere le annate precedenti, centinaia di scatti con le più diverse inquadrature per valorizzare al meglio i soggetti: da quando ho cominciato a coltivare mi sono divertita a creare queste belle nature morte e a mostrarle in giro, proprio come faceva mio padre con i pesci. Abbiamo abbinato due passatempi: lui prima pescava e poi fotografava - o si faceva fotografare, non importa - poi sviluppava e stampava le foto nel suo laboratorio amatoriale, aveva un ingranditore di tutto rispetto e credo sia questo il motivo per cui così tante foto dall’apparenza effimera sono arrivate fino a noi. Senza contare che in questo modo si rende più efficace il tipico gesto del pescatore, che con le mani aperte mostra agli amici e colleghi la misura delle prede: con la foto son lì da vedere, son mica vanterie di un bugiardone.
Io coltivo e poi fotografo e scrivo e pubblico un po’ dappertutto, mi diverto con poco, beata me. Se scrivere è il mio gioco preferito, fotografare è il secondo e ha pure una sua bella utilità, visto che uso sempre le mie foto per abbellire i testi da pubblicare.

Come questo esercizio di scrittura sui pesci: è uno dei miei preferiti e volevo metterci una foto significativa, mia o di mio padre e invece di andare da mia mamma a cercarne di nuove ho fatto un bel montaggio di quelle che avevo, alcune le ho già pubblicate, altre sono inedite ma rendono meglio nell’insieme che da sole. Non c'entra niente con il racconto, infatti quelli della foto sono lucci o trote, mio padre era un pescatore d'acqua dolce, ma lo so che piace e attira i miei lettori, ho verificato che i testi con le foto di mio padre vengono letti il 24% di più che quelli senza (scherzo, dai!)

l'occhio del branzino deve essere bianco

a me il vento piace

Il breve percorso tra la stazione della metropolitana e casa mia costeggia una serie di costruzioni basse, chiamarle villette sarebbe pretenzioso ma non del tutto sbagliato. Alcune hanno un vero e proprio giardino esclusivo, alcune solo un cortiletto minuscolo, altre affacciano direttamente sulla via. Le finestre del piano terra sono così vicine alla strada che se passo verso l'ora di pranzo o di cena sento i profumi di cose buone aleggiare nell'aria. C'è un incrocio particolare in cui potrei dire precisamente cos'hanno cucinato: oggi un sugo fatto con i pomodori freschi e il basilico, doveva essere delizioso, ho ancora l'acquolina al pensiero. Le tendine sono chiuse e non si vede dentro ma tirando a indovinare mi dico: pennette.

Nel tempo presente sono al mare con mia mamma. Si tratta sempre e comunque di un presente letterario e non di un presente storico, nella storia che ti voglio raccontare sono al mare con la mia mamma letteraria e mi fa piacere ricordare di un'altra volta, circa cinque anni fa, in cui io personaggio letterario raccontavo di una mia madre personaggio letterario che guidava una macchina che non era una Prinz verde. Tutto questo per avere la scusa di parlarti di un nuovo esercizio di scrittura, per accidente casuale con dentro il verde e per difficoltà d'esecuzione senza dentro una cosa, a piacere. Prima il mio esercizio e dopo lo spiegone. Nella foto il verde della visuale letteraria che mi riscalda il cuore.
Chi mi dice che sono postmoderna è un personaggio letterario.

eds della prinz verde un esercizio di scrittura col cappello in testa

Riporto questo piccolo pezzo che avevo scritto nel 2013, son passati più di cinque anni ma certe sensazioni sono rimaste quasi uguali. Per esempio ieri sono andata al Pride, l'ho fatto per i diritti di tutti, si capisce, ma non solo. La situazione sta prendendo una brutta piega e mi sembra che sia tornato il momento di scendere in piazza, dobbiamo farci sentire perché non credano, quelli là, che staremo zitti, che li lasceremo fare.
Ci mobilitiano, facciamo quello che possiamo ma la sensazione di inutiltà è sempre in agguato nella vita di tutti i giorni.

anche se voi vi credete assolti

 

 La donna che sussurrava ai rapanelli

Come coltivare un orto sul balcone in una città come milano e riuscire a mangiarne i frutti e anche le verdure, vantandosene su istagram.

Avrei già detto tutto quello che devo dire nel sottotitolo visto che non ci sono tecniche segrete per avere un abbondante raccolto, con questo clima tropicale che si è instaurato negli ultimi due o tre anni non devi nemmeno ricordarti di innaffiare, piove tutti i giorni e poi esce il sole, un'alternanza ideale di luce e umidità che nelle serre olandesi se la sognano.

GDPR e newsletter docente bianca maria carchidio

Edit 20 giugno: il corso GDPR e Newsletter è andato bene, eccomi qua nel selfie finale con una parte degli allievi attenti e partecipi: la raffica di domande arriverà tra un attimo!

maratona gdpr alla universita statale di milanoPer completare un periodo di eccitazione pazzesco causato dalla nuova legge sulla Privacy, GDPR per gli amici ma più propriamente General Data Protection Regulation, stamattina sono andata alla maratona GDPR che hanno organizzato alla facoltà di giurisprudenza della Statale di Milano. Che c’entri tu con giurisprudenza, diranno i miei lettori più attenti. Non centro nulla, infatti ho dovuto googlare per scoprire dove fosse l’aula 431 indicata sull’invito che avevo trovato per caso su twitter.
I miei lettori più informati diranno anche alla buonora, visto che la nuova legge scatta domani 25 maggio ma sono due anni che l’hanno approvata in Europa, non potevi darti una mossa un po’ prima?
Certo! È un mese che ci penso, ma il garante della privacy non si decideva a produrre la documentazione e poi, con l’aria che tira, stai a veder che ce ne andiamo via dall’Europa e faccio tutto il lavoro per niente. (Questa era bruttissima ma rido per non piangere)

istituto dei ciechi francesco gavazza, foto di Donato MatturroA proposito dei cinque sensi, ieri sono stata a Bologna e ho visto tantissimi ciechi, non ne avevo mai incontrati tanti tutti insieme. Va detto che la questione dell’accessibilità, vale a dire l’abbattimento delle barriere di ogni genere, non riguarda solo ciechi, anche i sordi, chi ha difficoltà motorie e gli ipovendenti come del resto sono anche io.

Ci vedo male e quando faccio le foto mi affido alla messa a fuoco automatica del mio smartphone, che su questo ci sa fare molto più di me, ma poi confesso che per sapere quali sono le foto venute meglio mi tolgo gli occhiali e lo avvicino a un centimetro dal naso, proprio come faceva il professor Stoian con la sua famigerata agendina, ti ricordi? È stato il nostro professore di matematica in terza e quarta liceo e aveva congegnato dei sistemi tutti suoi per ovviare al suo deficit, che non ho mai capito se ci vedeva male da lontano o da vicino: aveva una mira piuttosto precisa e se chiacchieravi poteva centrarti col cancellino in pieno petto, se eri un maschio, imprimendo una forza niente male che faceva partire un colpo di tosse al malcapitato. Ai maschi distratti poteva avvicinarsi di soppiatto e tirare anche dei bei coppini mentre noi ragazze eravamo esentate, però ci lanciava il cancellino sul banco proprio davanti, in modo da creare una nuvola di gesso che ti imbiancava tutta. Se avevi un maglione nero o scuro ridacchiava contento.

Quale che fosse il suo campo visivo ottimale, di certo qualche diottria gli doveva mancare perché preparava i compiti in classe differenziati, forse a scacchiera o forse distribuiti a caso, abbiamo capito subito che non erano tutti diversi, eravamo in trentacinque e sarebbe stato un bel sovraccarico di lavoro, erano scritti tutti a mano! ma comunque davanti, dietro e di fianco non c’erano mai gli stessi esercizi. Magari era anche un po’ sordo, infatti dopo che avevamo capito che li numerava ci chiamavamo da una parte all’altra della classe e ci impegnavano di più a cercare chi aveva l’esercizio uguale al nostro piuttosto che provare a svolgerlo con le nostre conoscenze. Noi ci sentivano così giovani e forti rispetto a lui ma ripensandoci devo ammettere che forse ci prendeva in giro facendoci credere di poterlo fregare come niente, mentre i fessi eravamo noi che ci sentivamo più abili e padroni dei nostri sensi.

Lo stesso che ti può capitare quando accetti di partecipare a un aperitivo al buio. Ma non anticipiamo...

 

La Donna Camel e Twitter

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#A11YDays Donato Matturro e Nicola Galgano agli accessibility days all'Istituto dei ciechi di Milano con l'intervento dal titolo Joomla! 4.1 - La nuova versione del CMS accessibile anche in fase di sviluppo
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Il cielo della Brianza è grande quasi come il cielo della Norvegia #24aprile
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Una piccola forma di immortalità dlvr.it/SMMcrv

Scrivere, giocare

scrivere è il mio gioco preferito

"Scrivere è il mio gioco preferito" il mio motto è piaciuto anche all'amica Freevolah che l'ha interpretato così su Instagram.

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