testata camel

quaderno edsNon cosa ho veduto, ma come l'ho veduto.
Ho veduto ogni cosa: adesso, quindi, non si tratta di quello che ho veduto, ma di come l'ho veduto.
Anton Cechov, Senza trama e senza finale, 99 consigli di scrittura, Minimum Fax

Ancora sui sensi, stavolta parliamo della vista. Prima il mio racconto e poi il bando

Lo sai che di tutti questi sensi e controsensi ne abbiamo fatto un libro? è ancora lì: Quaderno degli EDS: i sensi

Il signor Gardin aveva la fronte alta ai lati e bassa in mezzo, una attaccatura di capelli che lo faceva assomigliare a Topolino. Di Topolino aveva anche il modo di stropicciarsi le mani tenendo i gomiti larghi, discosti dal corpo. Forse aveva i guanti gialli ma non so, nel ricordo tendo a metterci dei particolari in più.

Il signor Gardin parlava sempre a voce molto alta perché apriva bene la bocca, lasciando vedere i denti d'oro. Faceva il venditore in un negozio di stoffe ed è lì che mia nonna l'aveva conosciuto, e di conseguenza io. Mia nonna mi metteva a sedere sul bancone in modo che potessi vedere le stoffe che lui sciorinava, così colorate e scrocchianti che facevano venire un pizzicorino nel naso. Lei tastava e accarezzava, Senta che seta pura, è esclusiva!

mia nonna era google

(Mia Nonna Google è quella a capotavola, di fianco a lei mio nonno, di fronte a lei ci sono io, sul seggiolone, alla mia destra la nonna non Google e alla mia sinistra la mia mamma. Il papà faceva la foto, ovviamente.)

Ci sono tanti modi per conoscere l'esistenza di un libro ed esserne incuriositi al punto da decidere di leggerlo, chi si fida dei concorsi e chi delle classifiche, chi si fa convincere dalla copertina che occhieggia sul bancone del libraio, chi ascolta i consigli degli amici.

Prima metto il testo del mio brevissimo esercizio di scrittura, si parla ancora dei cinque sensi e questa volta si tratta del tatto che ho voluto interpretare in modo un po' sci-fi. Dopo il mio esercizio puoi leggere il bando, cioè i paletti che io me medesima ho stabilito per rendere più difficile e quindi più facile la scrittura.


Dai, apri la touchcam
- No, non mi va
- Ti prego, son già tre settimane che sto qui, non ne posso più.
- Ma se l'abbiamo fatto ieri sera, e l'altro ieri, e tutti i giorni da quando sei partito.
- E allora? Intanto non è la stessa cosa che a casa. E poi, a casa lo facciamo anche due volte al giorno, quindi... dai apri.
- L'hai detto, non è la stessa cosa.
- Uffa. All'inizio non dicevi così. All'inizio ti piaceva.
- Sarà stata la novità. Le prime volte anche solo l'idea...
- Mi basterebbe una carezza. Stasera sono triste. Mi sento solo. Mi sento come un pulcino bagnato, lontano da casa, lontano da te e dal mondo civile, lontano da tutto. Sob.
- Vabbè, una carezza. Poi basta.

esercizio di scrittura sul senso del tatto

Spoiler! ti dico subito come è andata a finire questa storia: i cinque sensi sono un bello steccato da mettere intorno al prato dove far pascolare scrittori in erba, noi abbiamo pascolato e  abbiamo scritto, più io lo mettevo in alto e più loro la facevano bella, così è andata a finire che abbiam fatto un libro vero davvero. Il libro è ancora qui da vedere, la copertina è bellissima, noi ci siamo divertiti tutti e se lo leggi forse ti diverti anche tu.

lo steccato per parlar dei cinque sensi cominciamo dal naso

Il primo senso è il naso: il bandolo

Sniff sniff ma che cos'è questo odorino qua, ma che buono che è, ma che fresco ma che caldo ma che appetitoso ma cosa sarà.

Va bene, mi sono sgamata da sola: ho intenzione di lanciare a spron battuto una serie di EDS basati sui sensi. Qualcosa che, poi, chissà. Cinque sensi ma forse anche sei o sette, il sesto senso essendo uno di quelli più importanti per la scrittura e il settimo vedremo quando sarà sarà.

Per adesso scriviamo un raccontino dove il naso ha una rilevanza centrale, difatti sta proprio al centro di quasi tutte le facce, e gli odori soprattutto ma non solo.

(omissis)

Il paletto che ci metto, il Venturi de noialtri duri e puri, per addensare la materia fluida e renderla formidabile, per sciogliere le dita e far dolce la salita è questo qua: la storia che stai per raccontare deve essere ambientata non meno di 50 anni fa, quindi prima del 15 febbraio 1963, quando tra l'altro ancora non era uscito nessun disco dei Beatles: ci puoi credere? Documentati su internet, sulla treccani, chiedi a tua nonna, fai come vuoi e datti da fare: buon lavoro!

C'era da scrivere un racconto per un esercizio di stile e ci voleva qualcosa che ha a che fare con l'udito, l'ascolto, un rumore strano, sordo ma acuto, ripetuto. A volte sembra vicino, a volte si sperde lontano.
È un po' inquietante, è fastidioso, è misterioso.
Ma cosa diavolo è?
Dimmelo tu cos'è.

Ah, ma la difficoltà dove sta?
Deve essere in seconda persona singolare: dammi del tu.

Quello che segue è il primo dei tre incipit che del romanzo di Walter Siti Resistere non serve a niente. Può sembrare strano o come minimo curioso dotare un romanzo di tre incipit, come se l'autore volesse rimediare con la quantità a una qualche mancanza che percepisce solo lui. Walter Siti si mette spesso in mezzo e anche questo è un artificio letterario: non è insicurezza, al contrario è mestieraccio consumato che a me mi fa urlare dal godimento. Poi mi dicono che sono postmoderna e va bene, sarà anche così: ciascuno ci abbiamo i suoi bravi difetti. (Ne ho già parlato ma invecchiando ci si ripete, è un altro difetto dei postqualcheccosa)


Prima il mio racconto, poi le regole di questo esercizio di scrittura creativa, che è "l'attesa", e tutta l'infinità dei commenti dei partecipanti e miei 5 cents sui racconti dei partecipanti.

Dedicato all'amico MaiMaturo.

Quanto a me, ho sempre aspettato di diventare grande.

 

Quando andavo a scuola avevo l'abitudine di passare sotto un cartello stradale. Il cartello, anzi la serie di cartelli, per essere precisa, era avvitata alle estremità su due pali. Erano cartelli di metallo serigrafato, di quelli che finiscono a freccia, c'era scritto Como, e poi Varese, Aeroporto di Linate e poi non so, non mi ricordo tutte le città indicate. Erano posizionati uno sotto l'altro con un piccolo spazio che li separava, come le traversine di un treno che va verso il cielo, posto che i pali fossero i binari. Mi ricordo il punto preciso, la via e l'incrocio, non lontano da casa mia, il quartiere dove abito anche adesso.
Andavo a scuola senza fretta, guardavo spuntare i fiori nei giardini delle villette oppure guardavo i mucchi di foglie colorate che si accumulavano negli angoli, o la brina che trapuntava i prati, i boccoli di ghiaccio che pendevano dai rami come decorazioni da alberi di natale. Arrivata nel punto dei cartelli passavo sotto, non potevo farne a meno, era come un rituale o una abitudine, non ci pensavo nemmeno più. Delle volte non ci si fa caso, sui percorsi abituali si cammina - o si guida - senza pensare alla strada da fare. Si pensa ai fatti propri o si notano i colori del cielo, la riga bianca lasciata da un aereo, il profumo del glicine (chissà perché adesso non ci sono più tanti glicini nei giardini, hanno messo il gelsomino che è bello e profumato ma nasconde tutto, fa siepe fitta, mentre il glicine vuole salire, con quei suoi rami contorti che si avvoltolano sulle inferriate, e lascia ai passanti l'agio di guardare dentro: un piccolo prato tagliato con cura, un tavolo di ferro battuto con le sue sedie bianche intorno, un triciclo abbandonato sul sentiero di sassolini, la cuccia del cane in un angolo protetto. Giorno dopo giorno, senza nemmeno farci caso, dai piccoli oggetti che c'erano o non c'erano si poteva farsi un'idea degli abitanti di quella casa, se c'erano bambini o anziani, si capiva anche dal colore dei panni stesi sui fili messi apposta) ma col gelsomino non si vede niente, si sente solo il profumo e basta.

gemma

 

EDSSono io.
Sei ancora arrabbiata? Dai, apri che fa freddo. Sono tutto bagnato.
Ho camminato nel buio, non lo so dove sono andato. Volevo farmi passare il nervoso. Non pretendo di avere ragione, ma certe volte non ti sopporto e in questi casi l'unica cosa che riesco a fare è andare via.
Ho le mie colpe, non dico di no. Sono fatto così, te l'avevo anche detto.
Adesso apri il portone, che non ho le chiavi. Sono uscito senza giacca.
Ci ho pensato su. Ho ripensato a questi tre anni, a com'era prima che tu venissi a stare da me. È vero, hai messo un certo ordine nella mia vita, anche se riguarda soprattutto aspetti che non consideravo, che mi sembravano marginali. Non stavo mai a casa, non mi accorgevo della differenza tra avere le tende alle finestre o non averle. Però hai ragione quando mi fai notare che non si può vivere di pizza da asporto stravaccati sul divano, per quanto negli ultimi tempi mangiavo un po' più variato, da quando avevano aperto quel take away cinese in viale Lunigiana. Non insisto su questo argomento, ti ho detto che hai ragione, anche se il minestrone continua a non piacermi.

vento

Il vento è una delle poche cose che mi fanno paura. Quando è forte, s'intende, molto forte.

Le cose sono le cose oppure, detto come una che se la tira, il correlativo oggettivo.

Là nel mio vecchio blog (e ora anche qui nel nuovo) ho usato a volte un tag apposito, le cose sono le cose, per mettere insieme un tot di raccontini che sono partiti da un oggetto materiale qualsiasi e, nel migliore dei casi, sono arrivati a esprimere anche altro, spesso oltre le mie intenzioni. Il bello di questo gioco è che i lettori ci hanno visto molto di più di quello che ci avevo messo, ma pure io, alla fine.

Regole:

- Scrivi un raccontino sul tuo blog che abbia a che fare con uno o più oggetti materiali di qualsiasi genere o specie: valgono anche cose inventate, zombie, creature soprannaturali o fantastiche
- Quando hai finito vieni qui a dirmelo
- Non farla troppo lunga, finiamo entro lunedì 2 aprile alle 22,30.

- Ah, dimenticavo: il nome della cosa deve cominciare per C. (Troppo facile se no, eh.)

Il resto come al solito: se non hai un blog o ce l'hai ma non vuoi che lo sappiano in giro, mandami il racconto via mail che ci mettiamo d'accordo.

il nome della cosa c come cioccolato

Il mio racconto: C come cioccolato

Da piccola lo rubavo a mio padre. Lui ne teneva una scorta segreta nel cassetto del comodino. Lo mangiava di notte, non si faceva vedere. Io l'avevo scoperto per caso, stavo cercando Topolino nuovo. Nascondeva anche quello, ma solo fino a che non l'aveva letto lui, poi ce lo passava. Quando uscivano la sera - spesso andavano al cinema o a giocare a carte, aspettavo che la Teresa spegnesse la luce, aspettavo che dormissero tutti e entravo in camera senza fare rumore. C'era quell'odore che sapeva di mamma, se mi concentro posso quasi sentirlo per un attimo, borotalco, acqua di rose più qualcosa che non so definire, forse l'ammorbidente o l'appretto con cui venivano stirate le lenzuola, era un odore che si sentiva solo lì, non ce n'era traccia nel resto della casa. Chiudevo la porta e accendevo l'abatjour col paralume rosa. Aprivo il cassetto e guardavo per ricordarmi come erano messe le cose. Erano tutte tavolette svizzere, le andavano a prendere apposta a Chiasso perché erano più buone, anche le sigarette ma quelle perché costavano meno. Ne cercavo una già aperta, possibilmente fondente, ne prendevo una fila intera per non far capire. La cacciavo in bocca e poi rimettevo tutto a posto, la stagnola e la carta ben ripiegata sotto. La mandavo giù in fretta e tornavo a letto, il sapore mi rimaneva in bocca anche dopo che mi ero addormentata.

il senso della vista per la scrittura

Vederci bene non serve a niente se non sai dove guardare. Questa è una cosa alla quale non avevo mai pensato perché ci ho sempre visto male, fin da bambina, e per questo non mi sono mai sognata di guardare. Per esempio, le persone. È più facile che riconosca qualcuno dalla voce che dalla faccia e quando mi capita che mi presentino un po' di persone nuove tutte insieme, prima di ricordarmi chi è chi ce ne vuole. Li devo vedere un bel po' di volte, oppure devo leggere qualcosa che abbiano scritto.

 

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