Con questo post inauguro una telenovela a puntate sulla teoria dello scrivere. Non prendere queste note come un dettato di regole, non vorrei metterle giù con questo spirito: io credo che le regole della scrittura vengano fuori a posteriori dai testi e non il contrario. Cosa sto cercando di dirmi? A culo le regole? Sì. No. Quello che vorrei fare è analizzare come e perché una certa scelta sintattica o grammaticale o strutturale o quello che vuoi funziona in un certo contesto meglio di un'altra, se riesce a veicolare quello che l'autore vuole trasmettere in un certo momento storico e se questo può essere efficace anche in altri ambiti e in altri momenti.
La lingua cambia, quello che valeva ai tempi del Manzoni non vale più adesso, non perché sia sbagliato ma perché nel frattempo qualcuno ha trovato modi diversi per dirlo, modi più vicini al sentire contemporaneo - dove contemporaneo può significare molte cose. (Per esempio: il punto e virgola è sparito dalla circolazione a tal punto che riesce a dare a un testo una connotazione accademica, tecnica o bizzarra e pure i due punti devono stare in campana: attenzione...)
Anche le correnti letterarie, i generi, gli stili, sono definiti a posteriori: Carver non sapeva di essere minimalista fino a che non gli è stato detto - e la cosa lo ha fatto abbastanza incazzare, non ne voleva sapere lui di essere etichettato, manco se l'etichetta era applicata a lui prima di chiunque altro e anzi era stata creata apposta.