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La licitazione è appena finita, mio nonno e il suo giovane compagno, tal Danilo Milella(*) che non ho mai conosciuto, si sono aggiudicati il contratto con briscola a cuori, la prima carta è stata giocata da tre giocatori e mio zio Mario sta calando la sua in questo momento preciso di chissà quanti anni fa, forse settanta o forse ancora di più.

giocare a bridge col sistema naturale

Siamo nella cucina di mia nonna, riconosco il fornello con dietro il quadretto di piastrelle e so che nell’angolo alla sua sinistra si trova il lavandino di graniglia con i piatti lavati appoggiati sullo scolatoio.

I quattro uomini in grigio stanno giocando a bridge e per le dichiarazioni si intendono con il sistema naturale, che poi di naturale non ha mai avuto niente, essendo questo un gioco tutto basato su un preciso codice di comunicazione che sembrerebbe segreto ma non è e ha il solo scopo di dare il maggior numero di informazioni al proprio compagno con il minor spreco di messaggi: ho carte belle, ho tanti assi, tanti re, il mio seme preferito è cuori e così via.

 L’aspetto più interessante del bridge è la ricerca del sistema più efficiente per comunicare al proprio socio la combinazione delle carte ricevuta in sorte e allo stesso tempo capire cosa ha in mano lui, per prevedere a quale traguardo si possa ragionevolmente ambire oppure per pianificare come si possa opporsi con successo al raggiungimento del traguardo da parte degli avversari. Il gioco vero e proprio in confronto è una sciocchezza e in qualche caso si può anche evitare, dopo la prima mossa le carte del morto vengono messe sul tavolo e nessuno si può sottrarre al destino.

Avevo più o meno diciotto anni quando ho cominciato, del tutto ignara del gioco ma cooptata per aver assistito qualche volta alle partite dei miei genitori. Ho imparato quel poco che so sul campo anzi al tavolo, sbagliando molto e venendo molto redarguita come del resto si faceva in tutte le cose. Giocavamo anche molto, va detto, in tutte le situazioni, ogni volta che si avanzava una mezzora, perfino durante le gite, adesso mi sembrerebbe assurdo andare in un posto nuovo e giocare a carte, ma posso garantire che i giovani lo fanno sempre e nessuno vieta di andare fino in Norvegia per giocare alla playstation tutto il giorno, te lo garantisco. Noi eravamo a Ghiffa e non in Norvegia, un'uscita in quattro, una domenica pomeriggio autunnale, faceva quasi freddo e le foglie gialle ricoprivano i prati, la strada e ogni cosa. Gabrio adorava questo posto dove passava le vacanze da sempre, era a casa sua più lì che a casa sua, se capisci cosa intendo, tanto è vero che appena laureato è andato ad abitarci proprio. Ma per quel momento bisognava aspettare ancora tanto e difatti ci aveva portati a vedere i suoi luoghi che forse gli mancavano già dall’estate appena passata. Ci mostrava il bosco e il giardino dell’oratorio e noi non apprezzavamo per niente o forse non abbastanza, come facevamo a essere così sordi o ciechi o forse stupidi e non capire la bellezza del posto?
Carino, dicevamo per fargli piacere, ma è sicuro che non potevamo coglierne il significato più profondo che aveva per lui, che ci aveva passato i momenti migliori. Fuori dall’oratorio all’improvviso un branco di bambinetti di sette o otto anni mi aveva circondata, volevano abbracciarmi e nel farlo - io roteavo le braccia per tenerli lontani - cercavano di mettermi le mani da tutte le parti. Urlavo e mi ero quasi spaventata, fino a che è arrivato Gabrio, li ha sgridati e ha distribuito qualche scappellotto.
Che posto ruspante! ma dove siamo finiti? Guarda che mi chiudo in macchina eh?
Invece ci siamo messi a giocare nel bar dell’oratorio, io in coppia con Gabrio e già alla prima mano parte la richiesta d’assi, detta e spiattellata così: due fiori richiesta d’assi. Eravamo tutti principianti, ma io e Lella ancora di più e con questa scusa la dichiarazione veniva spiegata e messa in chiaro e le istruzioni per la risposta date lì per lì sul momento: ricordati che l’ordine, a differenza del poker, è fiori quadri cuori picche, uno scalino a salire ogni asso e così via. Non sto qui a raccontare tutta la licitazione perché non me la ricordo e poi non c’è niente di più noioso, ti basti sapere che siamo arrivati al grande slam, inconcepibile! Per fortuna che il morto ero io e non dovevo giocare, ma nemmeno gli altri la giocarono perché dopo l’attacco lui mise anche le sue carte sul tavolo e facendo il processo alle intenzioni degli avversari sciorinò tutte le giocate possibili: lui gioca questa, io rispondo con la tal altra e quindi sono 13 prese, non ci sono storie.
Ma come? io ingenua, ma come fai a sapere che lei mette questa e lui quell’altra, ma cosa si gioca a fare se...
Zitta, non può essere altrimenti, risponde il nostro avversario, che poi era il mio moroso: avete tutte le briscole voi! e cominciò a mischiare il mazzo per un’altra mano. Segno i punti?
La faccenda sembra conclusa ma Gabrio ridacchia, poi ride e poi sghignazza apertamente, si picchia una mano sul ginocchio e si butta indietro con la sedia e tutto che a momenti si ribalta.
Non vi siete accorti di niente? riesce a dire appena riprende fiato.
Noi lo guardiamo interrogativi, Lella anche un po’ scocciata, del resto aveva un caratterino.
Vabbè, quando Lella è andata in bagno ho dato un’occhiata alle mie carte, erano tutte scartine, bleah, le ho scambiate con quelle di Lella, ah ah.
Lei gli lancia un’occhiata di fuoco, Stronzo! si alza e va a mettere una moneta nel Jukebox. Si può facilmente immaginare che non gli parlerà più per il resto della giornata.
Eh dai, tanto si gioca per imparare, non ci stiamo mica mettendo sopra sopra i soldi. Dice lui, come per scusarsi.
Non c’è gusto a barare se il gesto di destrezza non viene riconosciuto, vero Gabrio?
Intanto, nell’aria si spande l’odore delle caldarroste che il barista ha messo sulla stufa, accompagnato a tutto volume dalle prime note del piano e poi dalla voce che tutti conoscono: quella tua maglietta finaaaa

(*) nome scelto a caso da una serie sepolta nella memoria, come Pierino Perolini, Alfonso Zardin, Angelino Meccanico, Oreste Gianoli...

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